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PARTIGIANI e FURFANTI

Gli orrori di guerre e dittature

Un metro di misura

Partigiani e furfanti

Un matrimonio a Val della Torre

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Quando per mantenere la liberà si è costretti ad un’azione di forza (ma, direi, in ogni pratica umana) tra le persone che hanno una morale ed un’etica si insinuano individui privi di queste qualità e con il loro comportamento denigrano, a volte gravemente, l’opera altrui.

Orbene eventi simili sono successi anche nella Resistenza e, tra i Partigiani si sono intrufolati dei furfanti dediti alla razzia senza scrupolo. Questa gentaglia non è degna dell’appellativo di Partigiano se non nel senso più bieco del termine cioè "partigiano di se stesso" non già della Patria.

Questa differenza è storica, non è nata oggi; già nel gennaio 1944 una circolare del Comando Militare di Torino ai Comandi Militari provinciali e allo Stato Maggiore dell’Esercito, suddivideva le bande partigiane in tre categorie. Alla terza categoria, la circolare recitava testualmente: “3) bande di delinquenti” (5).

Dunque questa distinzione è doverosa, non si può far di tutta l’erba un fascio. Com’è possibile che un uomo come Sandro Pertini, che è stato probabilmente il Presidente più amato dagli italiani, ebbene, com’è possibile che il suo comportamento durante la Resistenza non sia stato più che corretto.
Non riesco ad immagine brutture compiute da una persona così retta e coerente da rifiutare i fasti degli alloggi presidenziali per mantenere la propria serena vita privata. La coerenza di Pertini non ammette dubbi e se, secondo la definizione di E. A. Poe: “Una cosa è coerente in ragione della sua verità, è vera in ragione della sua coerenza. Una perfetta coerenza, ripeto, non può essere che un’assoluta verità(1), l’operato di Pertini non può essere che "vero".

Questi sono stati i Partigiani, non già chi ha rubato o si è arricchito alle spalle della povera gente affamandola. Quei furfanti hanno infangato un’ideale sacro e, quel che è peggio, hanno screditato agli occhi di molte persone anche chi con le loro lordure non ha mai avuto a che fare.

Su una raccolta di testi di M. Argenton e P. Piacenti possiamo leggere “Fra i Partigiani della val Trebbia è ancora vivo il ricordo dello slancio con il quale i contadini offrivano cibo e rifugio, incuranti del sacrificio e del rischio personale. Questo spontaneo comportamento era anche stimolato dalla condotta dei patrioti. Gli abusi infatti furono rari e molte volte repressi; il bestiame o gli altri prodotti requisiti erano solitamente pagati in contante, talora con buoni poi effettivamente onorati dopo la Liberazione” (2).

Si, come si legge, bestiame e altri prodotti venivano requisiti, altrimenti quei giovani lassù in montagna sarebbero morti di fame poiché non avevano nelle retroguardie una struttura militare con tanto di reparto sussistenza. Ma penso che dallo sfamarsi allo speculare alle spalle della povera gente ci sia una bella differenza!.
Avvenuta la Liberazione i Partigiani, dopo aver sfidato fame, freddo e pallottole, sono tornati alle loro fabbriche o alle loro campagne senza aver guadagnato nulla dalla guerra se non un po’ di gloria attribuitagli da chi ha saputo distinguere i furfanti dai Partigiani.
Mi si dirà: “è una bella storia ma la realtà…”. La realtà è quella esposta e se ognuno di noi, non proprio giovanissimi, ripensa alle persone conosciute che abbiano avuto a che fare con la Resistenza, sono certo che dalla propria memoria si concretizzerà il ricordo di un Partigiano vero; uno di quelli che, lassù in montagna, sognava Amore e Patria scrivendo poesie dettate dal cuore non già derubando con fredda lucidità.

L’Uomo non può chiudersi nel proprio piccolo mondo trincerandosi dietro pretesti alquanto utilitaristici, i suoi figli ne usciranno e troveranno ciò che egli gli ha lasciato. In una lettera di Ethel Rosenberg inviata dal carcere al marito Julius, anch’egli in carcere, si legge: “Non dobbiamo fare della preghiera rivolta all’Essere Onnipotente un pretesto per sfuggire alle nostre responsabilità verso gli altri uomini nella lotta quotidiana per la giustizia sociale. Ebrei e gentili, bianchi e neri, tutti debbono combattere questa lotta, uniti con fermezza!(3).

Non solo la preghiera, aggiungerei, ma qualsiasi banale pretesto è biasimevole. Ogni persona può, a seconda della proprie capacità, affrontare le sue responsabilità verso gli altri uomini, senza nascondersi dietro a un dito, per non trovarsi a dire un giorno “…mi accorgo che ho vissuto un solo lungo isolamento, una futile vacanza, come un ragazzo che giocando a nascondersi entra dentro un cespuglio e ci sta bene, guarda il cielo da sotto le foglie, e si dimentica di uscire mai più.” (4).

Ecco, i Partigiani, quelli veri, hanno fatto ciò che Ethel Rosenberg ha scritto al marito poco prima che entrambi venissero ingiustamente uccisi sulla sedia elettrica.

(1) E. A. Poe – “Eureka”.
(2) M. Argenton, P. Piacenti – “L’Italia dal fascismo alla Costituzione repubblicana”
(3) E. e J. Rosenberg – “Lettere dalla casa della morte” – Lettera del 30 settembre 1951.
(4) C. Pavese – “La casa in collina” – Cap. XXIII.
(5) F. Leone – “Le brigate Garibaldi nel movimento partigiano in Italia” – Pag. 28.

Giovanni VISETTI
g.visetti@valdellatorre.it

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